Quando all’interno dei nostri corsi di formazione si tocca l’argomento delle affinità di apprendimento delle persone affette da disarmonie ed i meccanismi che attuano i cavalli (puledri) nell’addestramento, la reazione istintiva di molti auditori è particolarmente vivace, spesso contrastante.

Alcuni si pongono in un atteggiamento di difesa: come è possibile fare una similitudine tra “persona debole” e cavallo? Come se l’interpretazione del messaggio richiami ad una presunta mancanza di rispetto verso i nostri cavalieri… Ci mancherebbe: non sono certo “animali” i nostri cavalieri “speciali”!

Altri, per lo più coloro che hanno maggiori esperienze equestri e vissuti in alcune dinamiche di apprendimento all’interno delle normali riprese di equitazione, si illuminano; anche se spesso non sono così immediati i parallelismi ed è quindi difficile definire nell’immediato un chiaro ragionamento in merito.

Certo è che quando si inizia ad esplicitare l’argomento con opportuni esempi e con i principi basilari dell’educazione informale, tutti raggiungono l’accordo che effettivamente vi sono grandi ed importanti analogie tra uomo (indipendentemente dalle sue caratteristiche o provenienze) ed animale.

Qualunque essere vivente è “Fenotipo e Genotipo”: la componente ereditaria trasmessa attraverso il DNA si va inesorabilmente a sintetizzare con le esperienze di vita, frutto dell’interazione con l’ambiente esterno e con gli altri esseri viventi, modificando nel tempo il soggetto stesso che “impara” (acquisisce) dall’ambiente o “si esprime” modificando –con le sue azioni e pensieri- parte del mondo che lo circonda.

Quando si “educa” è fondamentale tener conto del nostro interlocutore, della sua storia, della sua realtà e predisposizione, oltre ad attuare modalità di interscambio finalizzate a renderlo partecipe e attivo in funzione dell’obiettivo ricercato.

Molti sono i fattori predisponenti alla capacità di apprendere; quello sul quale vogliamo soffermarci è la gestione dell’ansia, all’interno della quale gravitano variabili come l’affaticamento, lo stile educativo “subito”, l’aspetto emotivo che ne consegue e, non da ultimo, il ricordo esperienziale delle precedenti attività svolte per il raggiungimento dello stesso obiettivo.

Ma cos’è l’ansia?

E’ un’esperienza emotiva che in genere rappresenta la normale risposta a situazioni particolarmente stressanti; rappresenta una condizione emotiva di apprensione, di timore, di aspettativa eccessivamente enfatizzata verso un evento potenzialmente negativo.

Lo stile educativo sostenuto da una progressione mirata dell’attività, è l’elemento sostanziale che può fare la differenza tra malessere e benessere nell’ “educato”; si pensi a uno stile punitivo (che attende l’errore per produrre il famigerato castigo, sovreccitando negativamente l’allievo che, sotto stress, aumenterà le probabilità di errore) in contrapposizione allo stile socratico (dove l’allievo viene accompagnato ad imparare con la ragione, favorendo autodeterminazione ed efficacia).

Punizione contro Sostegno, Malessere contro Benessere…

Quando si insegna qualcosa di nuovo ad un alunno è importante portarlo alla scoperta con piccoli passi attraverso la sperimentazione vissuta o il ragionamento (se si parla di concetti puramente teorici); è necessario seguire una progressione fatta di continue verifiche dei livelli precedenti di apprendimento, eventualmente tornando indietro se alcuni aspetti non sono stati acquisiti…

Immaginiamo di insegnare utilizzando come elemento “motivante” la punizione, la famosa maestra con il righello in mano, pronto per essere scoccato sulle mani del bambino (tempi remoti…): perderemmo nel giro di poco tempo l’allievo che si sentirà costretto a sottostare agli obblighi imposti e non imparerà nulla perché è più forte la paura dell’errore rispetto al piacere di imparare.

Uno stile accogliente, intimamente proiettato verso il piacere dell’allievo alla scoperta, fatto di occasioni positive e partecipative renderebbe sicuramente più coinvolgente e performativa la “lezione”…

Che ci si rivolga ad una persona (normo o diversabile che sia)  o ad un cavallo (puledro) è importante considerare gli aspetti sopra citati.

Pensiamo all’addestramento di un puledro (o alla desensibilizzazione di un cavallo adulto): spesso si assiste ad azioni basate sulla forza e sottomissione dell’animale per obbligarlo a fare quanto voluto dal suo cavaliere. Il modo più sbagliato per avere un animale agli ordini che certamente “subirà” il volere umano ma si caricherà di una serie di comportamenti problema sempre più complessi, e quanti cavalli “problematici” sono presenti nei nostri maneggi…

Pensiamo a quanti cavalli o puledri vengono obbligati ad eseguire attività (spesso innaturali) che non sono sostenute dalla minima conoscenza e progressione da parte del cavaliere… Quando le richieste non sono in linea con le reali capacità dell’animale questo sbaglia, spesso si difende “mettendosi contro” e invece di essere ascoltato dal cavaliere (forse è meglio che torno indietro e chiedo azioni più semplici…) viene punito e spesso messo in box dopo una serie di frustate o chissà che altro…

Come potrà sentirsi questo cavallo durante la “lezione” successiva, dopo aver interiorizzato e subito una simile esperienza?

Questo è quanto accade anche nell’educazione degli umani: se l’allievo ha un vissuto negativo non potrà che partire nella nuova lezione con il pregiudizio e con un livello di ansia (stress) che non aiuta certamente la sua capacità di apprendere…

Ecco che, a questo punto, viene naturale il paragone del lavoro di preparazione fisica di un atleta, ben consci che tutti siamo corpo e anima: le considerazioni sotto riportate sono ancora una volta identiche, che si parli di muscoli o che si parli di apprendimento.

Qualunque attività deve prevedere una fase preliminare di riscaldamento (quanti cavalieri agonistici fanno riscaldamento prima di montare in sella??? Domanda retorica…) che predisponga l’organismo nel mettere in moto i muscoli e le articolazioni.
Chi fa sollevamento pesi non inizia certamente con i 90 kg ma si riscalda con pesi irrisori!

In educazione “il riscaldamento” avviene con il ricordare e riproporre competenze ed abilità semplici e finemente interiorizzate, per permettere all’allievo di “entrare nella parte” e predisporsi al lavoro.

Terminato il riscaldamento si può iniziare a svolgere compiti più impegnativi, che mettano in condizione la persona di aumentare i livelli di performance: l’atleta inizierà a caricare l’asta di maggiori pesi per raggiungere in progressione il suo massimo. L’allievo sarà stimolato nell’impegnarsi di fronte a situazioni sempre più complesse ma sempre risolvibili, frutto dell’apprendimento delle lezioni precedenti.

Giunti al limite della performance, quando la persona è al massimo del suo impegno (sforzo fisico o  concentrazione), è possibile richiedere quel di più (voluto e programmato dall’allenatore o dall’educatore) che possa essere la novità da superare per quella lezione (allenamento); una volta superato questo piccolo ulteriore livello si torna nelle attività meno impegnative, riducendo progressivamente il livello di richieste fino a raggiungere la fase di defaticamento per concludere l’attività serenamente e senza accumulo di eccessiva stanchezza.

Il tutto può essere rappresentato come una parabola:
Questa è la Teoria del Buon Ricordo: tutto quello che dovremmo fare anche nel nostro montare in sella (riscaldamento, lavoro effettivo, novità, continuazione di un lavoro a decrescere, fino al defaticamento) per terminare la lezione -o addestramento del cavallo- avendo insegnato quella piccola novità al nostro amico, rientrando in scuderia a posto di fiato e di sudore…