Un vecchio proverbio sosteneva che “cavallo sano vuol quattro cose: aria, biada, striglia e strada”: ricambio d’aria (non sottoforma di corrente) nelle scuderie, per preservare il tratto respiratorio da possibili patologie polmonari, una alimentazione corretta e bilanciata alle reali esigenze fisiologiche e di consumo energetico, pulizia e attività fisica, lavoro.

La noia e l’inattività hanno sempre indotto comportamenti problematici nei cavalli che, in certi casi, possono diventare patologici ed estremamente invalidanti.

Non si vuole ovviamente elogiare quel duro ed inumano lavoro che usura talmente l’animale da renderlo inutilizzabile nel giro di poco tempo; non vorremmo però cadere in quell’animalismo radicale che spesso accompagna l’ipocrisia di coloro che si indignano con troppa facilità di fronte all’utilizzo di un animale che, senza le attuali e differenti attività (lecite) nelle quali è coinvolto, sarebbe confinato in un parco faunistico come “specie protetta”.

Il giusto compromesso è sempre possibile, basta volerlo perseguire ed avendo ben chiaro che sin dai tempi più remoti il rapporto uomo – cavallo ha sempre funzionato grazie al principio del dare ed avere: lui ha donato i suoi servigi, frutto di forza, velocità, nobile abnegazione, noi lo abbiamo mantenuto, protetto, cibato e curato; tante volte lo abbiamo anche tradito “mangiandolo”, venendo a meno a quel principio di rispetto che si deve ad un Amico importante…

Sarebbe un falso teorema far passare che in questo rapporto il bilanciamento sia alla pari: l’uomo ha sempre ottenuto il suo ovvio interesse ed ha sempre assoggettato tutto e tutti secondo egoistici fini.

Ma torniamo al cavallo ed ai ritmi di lavoro che può sostenere.

Riferendoci ad attività ludiche, educative o riabilitative –in fondo questo è il tema del nostro sito- si dovrebbero considerare come indicatori delle potenzialità di un cavallo la fatica fisica alla pari di quella psicologica. Va da se che le variabili in gioco sono moltissime; vorremmo però partire dal presupposto di avere come “colleghi di lavoro” soggetti sani, nel pieno della maturità fisica e, soprattutto psicologicamente stabili, che non abbiano quindi una storia di sofferenze emotive o disturbi dettati da cattivo addestramento/utilizzo.

E’ forse utopico pensare al cavallo ideale per l’ippoterapia ma, partendo da questa ipotesi puramente teorica, diventa più semplice confrontarsi con le risorse che ognuno ha a disposizione per poter valutare eventuali spunti di miglioramento.

Pensare che un soggetto possa svolgere le canoniche otto ore di lavoro giornaliero è francamente sbagliato e negativo per l’animale; in rieducazione equestre il cavallo lavora prevalentemente al passo, le proposte, spesso routinarie e ripetitive, inducono nell’animale livelli di stress psicologico particolarmente alti e tali da suggerire -in alcuni casi e su determinati soggetti particolarmente “sensibili”- l’allontanamento dalla specifica attività.

Non è impossibile vedere animali particolarmente compromessi sul fronte caratteriale che manifestano reazioni aggressive o di auto protezione; lo si riscontra anche nelle attività equestri nel Sociale, dove alcuni soggetti tendono a mordere l’assistente che li conduce a mano, manifestano evidenti cenni di rifiuto a particolari procedure come le salite in sella o l’avvicinamento alla scaletta per agevolare il cavaliere nel montare.

Non vogliamo concentrare la sola attenzione sulla componente emotiva: ci pare che però venga erroneamente percepita come marginale rispetto allo stato di salute “fisico”.

Alcune reazioni sono certamente la risposta a dolori o fastidi fisici come ad esempio il mal di schiena o zoppie; sebbene alcune cause possano essere difficili da individuare e risolvere (il veterinario è la persona più indicata per gestire la situazione!), con opportuni accorgimenti o terapie i problemi possono certamente ridimensionarsi.

La prevenzione è l’arma migliore che abbiamo per evitare l’insorgere di tutte queste situazioni: la conoscenza e la capacità di osservazione, oltre ad una certa apertura mentale che va a rompere vecchi schemi di autodiagnostica o addestramento spiccio, sono alla base di una buona gestione del cavallo in lavoro.

Alle periodiche visite veterinarie sono così da associare le ordinarie pratiche di gestione dell’animale prevedendo periodi di lavoro commisurati alle reali potenzialità del soggetto con momenti di relax al paddock: lo svago all’aria aperta, magari in compagnia (attenzione ai calci!!), è un vero toccasana che rende molti soggetti tranquilli e stabili.

Compatibilmente con le disponibilità del centro e con gli impegni verso l’utenza, ipotizzare almeno due o tre periodi settimanali di relax in paddock (4-10 ore ma più sta fuori meglio è) potrebbe essere una valida soluzione; i cavalli più fortunati vivono in capannina e recinto… sarebbe l’optimum ma la realtà è spesso diversa e impone per mille motivi il box.

E’ buona abitudine utilizzare i cavalli da ippoterapia anche nelle normali lezioni di equitazione. Meglio sarebbe avere a disposizione soggetti sottoposti ad un lavoro serio e consapevole, montati regolarmente da cavalieri esperti che possano stimolarli nella continua ricerca dell’equilibrio e dello sviluppo delle basilari performance motorie.

E’ difficile fornire dei numeri sui tempi di attività nei quali coinvolgere un cavallo in equitazione integrata: se si pensa alla sola attività di rieducazione equestre dalle 3 alle 4 ore giornaliere potrebbe essere un riferimento che certamente potrebbe venire rivisto in funzione del tipo di lavoro nel quale il soggetto è chiamato a svolgere.

Non è quindi un rapporto puramente quantitativo: valutate le caratteristiche intrinseche del soggetto da inquadrare nei programmi assistiti, queste devono obbligatoriamente venir bilanciate alla mole di impegno che gli viene richiesto. L’osservazione del comportamento e dello stato fisico dell’animale diventano così l’elemento fondamentale ed imprescindibile di valutazione sempre ricordando che i quattro elementi base sono sempre aria, biada, striglia e strada!