Nell’immaginario associato al cavallo, quello del montare in sella rispecchia l’aspettativa certamente più forte.

Molti principianti, avvicinando il nobile animale, percepiscono non solo la sua magnificenza ma anche quella forza istintuale che esprime, innescando meccanismi alternati tra sfida e paura: il sottile bilanciamento tra “Super IO” ed “IO Meschino” con cui tutti noi conviviamo nelle esperienze emotivamente più coinvolgenti si esprime alla massima potenza anche e soprattutto in questa interazione.

Purtroppo, complice una diffusa ignoranza (equestre ma non solo) complicata da rigide regole commerciali che vogliono assoggettare il cavallo a strumento di puro divertimento, è sempre più difficile assistere ad una sufficiente preparazione introduttiva del neofita atta ad entrare pienamente nel pensiero animale, decodificandone i suoi comportamenti per comprenderne istinti e paure, unendo il tutto in una positiva comunicazione tra “diversi”.

Grazie alla passione dei veri –pochi- maestri è possibile creare i fondamentali di una interazione efficace che possa permettere una relazione chiara ed a misura di cavallo, fatta non solo di tecnica e procedure per il suo avvicinamento e gestione, ma soprattutto di abilità nel proporsi come primus inter pares, senza aggressività ma capaci di esprimere una leadership… un’ascendente.

Un ulteriore punto basilare nella conoscenza del cavallo sta nell’abilità ad interpretare i suoi segnali, secondo specifici codici comunicativi ma soprattutto in relazione ad un pensiero arcaico “di preda”; al cavallo non interessa di vivere in Italia, magari nella periferia di una grande città metropolitana del ventunesimo secolo: il suo istinto è rigidamente ancorato alla preistoria quando la sopravvivenza era -ed è tutt’ora-legata alla fuga.

Non potendo resettare questo comportamento (naturale), si conferma ulteriormente l’intervento di un traduttore simultaneo, quello dell’istruttore-maestro, che agevoli lo scambio tra i due protagonisti dell’interazione.

Se il principiante ha un disagio l’incontro con il cavallo deve seguire logiche personalizzate.

L’apporto di un tecnico esperto nell’avvicinamento al cavallo e nella pratica attiva a contatto dell’animale diventa fondamentale quando ci si rivolge a soggetti deboli.

I tempi e le modalità di approccio si rivelano estremamente differenti da soggetto  a soggetto e necessitano inderogabilmente di obiettivi più specifici rispetto al generico “insegnamento di una equitazione di base”, obiettivi che partano dalla conoscenza dell’allievo e delle sue caratteristiche –generiche, della patologia alla quale risulta affetto ma soprattutto specifiche, riferite alle sue soggettive peculiarità, abitudini, carattere ed abilità residue- che solo una seria presa in carico può far incentivare.

Nel lavoro con persone diversamente abili il tempo per raggiungere risultati è una variabile ininfluente: quello che interessa è il raggiungimento di micro obiettivi che uniti insieme possano portare a risultati apprezzabili per la generalizzazione di competenze alla vita di tutti i giorni e per il ben-essere della Persona.

In questo tipo di interventi è molto evidente l’aspetto relazionale ed il ritorno del praticante nel verificare di persona il superamento dei propri limiti o il raggiungimento di competenze inattese.

La relazione e la conseguente fiducia che il tecnico deve guadagnarsi per diventare un valido Riferimento per l’utente diventano elementi imprescindibili per costruire abilità: per questo motivo una progressione ragionata fatta di esperienze facilitanti ed emotivamente significative sono alla base dell’azione del Quadro Tecnico.

Tutto parte dal lavoro a terra.

Nei primi incontri in maneggio l’avvicinamento al cavallo è una delle fasi più delicate che determina tutto l’intero percorso della persona diversabile in maneggio; non è da dimenticare che l’animale è solo uno degli elementi stimolanti e delle occasioni di comunicazione per consolidare la relazione tra allievo e tecnico e tra allievo ed ambiente circostante.

Il tecnico deve porsi come intermediario facilitante, atto a condurre ad esperienze positive, gratificanti e non certamente impositive, che potrebbero innescare ansia e, conseguentemente, l’eventuale allontanamento all’attività ed alla relazione.

Nei lavori a terra si sperimenta una relazione diretta con il cavallo che potrebbe essere inizialmente promossa anche a distanza (di osservazione, con una “barriera” tra persona e cavallo come ad esempio una recinzione o la porta del box), per divenire sempre più intima di fronte ad una progressiva presa di confidenza e fiducia dell’allievo nei confronti dell’animale, come –ad esempio- la conduzione a mano o il grooming.

Parallelamente, con la scusa del prendere confidenza con l’ambiente circostante si possono iniziare attività di orientamento (dove si trova la scuderia, la selleria, la club-house) che nel tempo possono portare ad una maggiore richiesta performativa da parte dell’allievo nel sapersi muovere in autonomia –e secondo le regole di sicurezza del maneggio- per effettuare un compito (es. andare a prendere le spazzole, o sapere dove si trova il box di un particolare cavallo…) o apprendere gli spazi specifici del campo di lavoro (angoli, lato lungo, lato corto, dentro la pista, centro del maneggio…) per saperli affrontare al meglio una volta in sella.

Relativamente ai passi successivi inerenti la prima messa in sella del cavaliere disabile sarà opportuno mantenere una identica linearità nella progressione didattica e specifici principi che non possono esulare dalla partecipazione attiva e consapevole del praticante; il tutto per creare tutte quelle occasioni che portano ad una naturale evoluzione delle attività e che riducano al minimo l’esposizione al rischio e stress dello stesso.