Chi si avvicina alla mediazione equestre molto spesso lo fa con le più differenti motivazioni ed aspettative. Molte persone partecipano ai nostri week-end di sensibilizzazione tematica con il solo obiettivo di conoscere un nuovo settore e le sue potenzialità nelle differenti aree del Sociale; la maggior parte degli interessati desidera però -giustamente- “tradurre in lavoro” questo investimento di tempo e denaro.

La strada non è impossibile ma prevede l’inevitabile gavetta e una buona dose di perseveranza!

I differenti background che caratterizzano tutte le persone con le quali interagiamo nei corsi sono certamente una importante risorsa, stimolando nuove occasioni di confronto e, alcune volte, anche di “scontro”: spesso, ad esempio, si considera Intercultura l’interazione con il bambino cinese o musulmano dimenticando che anche il popolo Rom (con tutti i pregiudizi veri e presunti sulla loro stirpe) rientra in questo raggio d’azione, così come il riconoscimento di alcuni problemi comportamentali possono rientrare più o meno direttamente nell’ambito della disabilità (pensiamo al cosiddetto “handicap indotto” riconducibile a forme di deprivazione esperenziale particolarmente deficitarie… alla malattia mentale… oppure ai disturbi alimentari, senza voler peccare in un eccessivo pressapochismo da generalizzazione forzata).

Il problema è forse quello di conoscere le tante sfaccettature del mondo delle diversità etnico-religiose e delle diverse abilità, e della nostra predisposizione –vera o presunta- all’interazione con particolari target di utenti potenziali… Il primo ostacolo da affrontare per il mediatore è proprio questo: riconoscere eventuali –possibili quanto naturali- pregiudizi e lavorare su se stessi per saperli affrontare positivamente ed oggettivamente!

Purtroppo non è pensabile che  due week-end possano fornire tutte le competenze e abilità tecnico-operative atte a creare un operatore completo: in tal senso la buona intenzione di EQUITABILE® è quella di fornire le basi che dovranno obbligatoriamente venire implementate con ulteriore studio, per sintetizzare la conoscenza del cavallo e del Terzo Settore (disabilità, disagio, Intercultura o, semplicemente rischio di emarginazione) in chiave inclusiva.

I tirocini presso centri operanti sul territorio diventano una importante opportunità di maturazione professionale per l’ottenimento di quella pratica che differenzia un “semplice tecnico” da un “bravo tecnico”.

Non è importante  solo il lavoro a diretto contatto con il cavallo: molte persone rischiano di ridurre le potenzialità della mediazione equestre alla sola sfera relazionale, dove l’interazione con il nobile animale e le attività a terra sono alla base di questi specifici interventi…

attività referenzialiE’ facile per un appassionato di cavalli concentrarsi su queste iniziative da svolgersi in maneggio o fattoria: questo grazie ad una certa esperienza sul campo che fa ritenere il futuro mediatore di avere maggiori proposte da sviluppare rispetto ad una sfera di intervento -quella referenziale, appunto- forse meno “immediata” e dal taglio più educativo ed ideativo.

Il rischio è però quello di cadere nei luoghi comuni di una “pet therapy casereccia” che inevitabilmente monopolizzerebbe gli interventi ad un riduttivo ventaglio di proposte finalizzate alla conoscenza del cavallo, alla sua pulizia, alimentazione e poco altro in aggiunta.

La mediazione equestre è molto più di un semplice intervento di animazione ricreativa: è educazione informale, ma è sempre educazione!

Come tale va promossa con una particolare forma mentis,  che unisca i basilari principi pedagogici e relazionali a con una certa predisposizione alla programmazione ed alla gestione di interventi individualizzati al bisogno del singolo (e del gruppo all’interno del quale questo è calato).

Senza questo tipo di approccio è facile cadere nel “non saper più che cosa raccontare” e, per riempire le ore di intervento, cedere ad una attività che vede nella messa in sella il surrogato di una incapacità di fondo del mediatore, oltre ad essere in pieno contrasto formale con il nostro Regolamento Tecnico di Settore.

attività di gruppo in un PMEIl gruppo. Che si concentri l’attenzione sulla persona a rischio di esclusione, non significa automaticamente che i Progetti di Mediazione Equestre sono rivolti esclusivamente ai soli soggetti deboli: l’azione mediante deve inevitabilmente confrontarsi con un gruppo nel quale la persona che presenta caratteristiche deficitarie è inclusa. Per questo motivo le proposte debbono venire calibrate e progettate favorendo quegli aspetti semantici che caratterizzano e differenziano il nostro Movimento: l’accoglienza inclusiva e la partecipazione attiva dei più deboli.

Sebbene questo sia il fine ultimo, questo non significa che vi possano essere fasi operative che prevedano azioni preliminari in rapporto 1:1 con la persona debole che, opportunamente valutata e preparata ad una accoglienza in gruppi più o meno numerosi, possa venire inclusa in attività che avranno lo scopo di creare positivi spunti di confronto tra le diversità.

In aggiunta, accoglienza significa anche lavorare sul sensibilizzare gli “altri” alle diversità: vi possono così essere progetti di mediazione equestri rivolti esclusivamente a normo-dotati… Immaginiamo di parlare di interculturalità in una classe di soli italiani: facendo riferimento ai cavalli in branco oppure ai differenti colori dei loro mantelli è possibile creare laboratori o psicodrammi in aula atti ad imparare le dinamiche di accoglienza ed abbattimento dei pregiudizi.

Le attività di carattere referenziale proposte lontano dalla vista del cavallo “vero” possono così diventare occasioni facilitanti per il raggiungimento di questi obiettivi oltre ad essere particolarmente economiche e comodamente realizzabili: si pensi alla Scuola dell’Obbligo che non avendo moltissime risorse può proporre interventi educativi e di sensibilizzazione alle marginalità a costi contenuti e senza eccessivi impegni dettati dalle trasferte da e per il maneggio/fattoria…

Tutto questo è probabilmente più facile da comprendere e realizzare per coloro che hanno provenienze educative vere e proprie (insegnanti, educatori coordinatori di gruppi giovanili ecc..) e che si sentono più pronti nel gestire situazioni e relazioni di gruppo fuori dal naturale contesto equestre. Questo però non significa che chi ha una spiccata provenienza equestre debba per forza  avere difficoltà in un nuovo ambiente come quello scolastico, di Centro Diurno per Disabili o di Aggregazione Giovanile … E’ solo necessario un naturale sforzo di riadattamento!

Alla luce di queste variabili è forse più chiaro che la figura del Mediatore Equestre non è inferiore ad altre figure tecniche e non è un lavoro affatto semplice: uno dei punti di forza di questo particolare ambito di intervento deve essere la sinergia da richiedere all’Ente fruitore del servizio da “esperto” e della collaborazione gomito a gomito con l’insegnante/educatore di riferimento che potrà essere un valido aiuto durante le attività.