La decisione di intraprendere un percorso lavorativo (o puramente volontaristico) nel campo del Sociale trae spesso origine da una intima predisposizione nel voler fare qualcosa di buono per i meno fortunati.

Chi gravita nel Terzo Settore ha vissuto molto probabilmente un coinvolgimento diretto –spesso familiare- rispetto ad una specifica problematica: non è raro infatti interloquire con “addetti ai lavori” che hanno un parente molto prossimo in condizione di disagio o handicap.

In alcune circostanze gli stessi operatori del settore hanno vissuto ancor più intimamente e sulla propria pelle gli effetti di un disagio, malessere o invalidità: sono queste le situazioni più “particolari” perché implicano un grande lavoro su se stessi per accettare una condizione che può segnare l’intera esistenza ma che, una volta superata in modo efficace, diventa occasione per infondere più forza alle proprie azioni soprattutto se divengono d’aiuto per soggetti deboli.

Questo tipo di esperienza diretta diviene nel tempo il volano motivazionale che segna certamente la vita delle persone e che può indurle a perseguire due percorsi diametralmente antitetici: rinchiudersi nella non accettazione del problema (spesso negandone l’evidenza a tutti i costi) oppure dedicandosi attivamente e positivamente alla ricerca di soluzioni e sinergie, non solo riferite al benessere del proprio congiunto ma anche allargandone gli effetti sull’intera comunità.

Da questo presupposto sono nate e cresciute nel tempo associazioni di persone che, riconoscendosi in una comune esperienza di vita, lavorano sul territorio o su larga scala per raggiungere specifici obiettivi, spesso volti al benessere ed all’accoglienza di quel particolare target di utenza. 

Anche nel mondo equestre si assiste ad iniziative di questo tipo che vedono la partecipazione di più soggetti che si uniscono per creare un’associazione che abbia l’obiettivo di sviluppare benessere ed inclusione attraverso il cavallo mediante azioni che possono spaziare dall’ippoterapia tradizionale allo sport equestre agonistico, per passare attraverso iniziative di tipo ludico-educativo come quelle riconducibili all’ equitazione integrata™ .

In settori di nicchia come il nostro si tende ad unire questa intima predisposizione al Sociale con la passione per quello stupendo animale che è il cavallo (un piccolo rimando al motto di EQUITABILE®…): spesso, avendo verificato direttamente sul campo o in forma puramente teorica mediante lo studio di letture scientifiche, si da il via ad un progetto di attività equestre “speciale” grazie ad una rete di soggetti che si riconoscono nell’iniziativa e che portano in dote esperienze e competenze specifiche per la realizzazione dell’iniziativa.

La volontà nel mettersi di servizio è il motore per affrontare le difficoltà e criticità di una attività che, pur dalle grandi soddisfazioni, cela veramente molte insidie e difficoltà, soprattutto nell’accondiscendere troppo spesso con una realtà non pienamente in linea con le più rosee aspettative.  Il riferimento è relativo innanzitutto ad una tipologia di lavoro certamente atipico e su collaborazioni -spesso occasionali- con poche sicurezze e tutele sul fronte contrattuale.

Vi è inoltre un doveroso e costante adattamento del tecnico a strutture (e cavalli) non pienamente idonee all’attività, disponibilità di spazi spesso “rubati” ad altre attività di maneggio e spesso ad una contrastante visione del servizio che rischia di venire strumentalizzato per ipotetici -o sperati- benefici che il centro equestre trarrebbe grazie ad una attività del sociale… strutture coperte, finanziamenti ecc…
Sperare di far soldi da una attività equestre nel sociale è al limite della più ingenua utopia: come tutte le attività del Terzo Settore anche la rieducazione equestre subisce i continui tagli, con l’aggravante della ridotta priorità rispetto a servizi socialmente più importanti.

Tutto questo rischia di produrre disagio nell’operatore sociale che nelle circostanze più estreme getta la spugna per eccessivi sovraccarichi di responsabilità e di disattenzione.

Chi opera nel Sociale ben conosce questi argomenti e, pur indignandosi per tutte queste “difficoltà progressive” nelle quali viene quotidianamente catapultato, continua una battaglia quasi personale per non lasciare che i deboli siano sempre più deboli ed i forti sempre più forti, secondo una visione dove le risorse umane mantengono una posizione di privilegio rispetto al mero capitale.

In fondo è la storica guerra tra la concezione profit e quella no-profit della nostra Società…