Tra le nostre cerchie di amici o conoscenti è facile individuare quei soggetti che vogliono sempre avere l’ultima parola o che si comportano come se fossero gli unici a fare meglio degli altri, come se “solo loro” fossero i detentori della verità assoluta.

Nel campo equestre è ancor più semplice individuare quei “super” che, solo per aver visto alcuni film di John Waine o per aver partecipato ad alcune sagre di paese in sella ad improbabili destrieri, pontificano gratuitamente criticando un po’ tutto e tutti…

Tanta gente vive di un apparente ed irreale super-IO, che rischia di estraniarli dalla realtà e li rende oggetto di compatimento degli avventati interlocutori.

Cerchiamo di non cadere noi stessi in questo subdolo tranello, nella vita di tutti i giorni come nella sfera professionale!

Quando si intraprende una qualsiasi attività è indispensabile valutare oggettivamente i nostri personali punti di forza, ma soprattutto quelli deficitari per poter affrontare al meglio un incarico ed eventualmente investire su noi stessi per raggiungere nuove competenze ed essere sempre più eclettici.

Spesso si rischia di peccare di supervalutazione rispetto alle proprie capacità, alcune volte ci si sente perennemente inadeguati ad affrontare una situazione; nelle attività alla cui base vi è una relazione con il pubblico questi aspetti possono venire particolarmente evidenziati ed assumono una rilevanza pressoché assoluta.

E’ indubbio che sia necessaria una certa predisposizione ed una innata passione nell’intraprendere una professione, ma questa, se non sostenuta da una specifica formazione ed esperienza sul campo, rischia di non vedere il raggiungimento di apprezzabili obiettivi.

Una reale consapevolezza delle proprie qualità e limiti è fondamentale!

Quando si lavora nel Sociale vengono poste le basi per la creazione di una relazione d’aiuto con soggetti deboli che si affidano a noi per superare alcuni limiti o per risolvere specifiche necessità che pregiudicano la normale partecipazione alla vita sociale.

Diventa così fondamentale avere una personalità forte e matura nell’affrontare molte situazioni che, senza opportuna preparazione psicologica e professionale, potrebbero toccarci molto da vicino e fagocitarci in un turbine patologico che certamente non condurrebbe a nessun risultato. Pensiamo ad esempio ad attività equestri proposte a bambini con gravi handicap o persone affette da malattia mentale

La sensibilità e la predisposizione verso i più deboli non devono così diventare l’occasione per fare “il buon samaritano” a tutti i costi: tutte le attività rieducative rivolte alle persone deboli dovrebbero essere frutto di un progetto ragionato in equipe per un reale sostegno della Persona e che riduca ai minimi termini la possibilità di un eccessivo coinvolgimento personale dell’operatore, anticamera del cosiddetto bornout.
Tutto deve restare sul piano puramente professionale.

Conoscere se stessi significa anche prendere coscienza dei propri limiti in specifiche interazioni: vi sono alcuni utenti che non predispongono affatto ad una positiva relazione d’aiuto per i loro particolari comportamenti (in genere oppositori, istrionici, ineducati, stereotipati o problematici in genere) o per la difficoltà dell’operatore nel riuscire a gestirli professionalmente o emotivamente. In questi casi è opportuno riconoscere che il problema è insito nella relazione che si andrà a creare e se non si è in grado “umanamente” di tollerare o accettare certi comportamenti è assolutamente sconsigliato prendersi in carico questi soggetti.

Vi è anche la variabile delle capacità tecniche e abilità fisiche da considerare: come più volte sostenuto, è indispensabile che ognuno promuova attività in linea con le specifiche abilitazioni e competenze per non cagionare possibili danni (fisici, morali, relazionali, emotivi…) alle persone ce si affidano al nostro aiuto.

E’ opportuno rendersi ulteriormente conto del livello di esposizione alla fatica ed agli sforzi fisici perchè il lavoro in maneggio -e nell’ippoterapia in particolare- non è così semplice come si crede…

L’esposizione a patologie professionali, riconducibili soprattutto agli sforzi che inevitabilmente fanno parte della professione, rischia di evidenziarsi maggiormente in coloro che hanno delle predisposizioni a livello di struttura fisica.

Anche questa variabile è da tenere in grande considerazione per non trovarsi  dopo pochi anni di attività a riposo forzato (o a cambiare lavoro) per ernie o patologie come dolori alla schiena… Per questo potrebbe essere necessario demandare ad altri colleghi -magari più forti- certi sforzi o dotarsi di ausili che possano facilitare e proteggere il lavoratore (specificatamente nelle salite e discese da cavallo).

Ma qual’è il nesso tra questi ultimi aspetti inerenti la fatica fisica o le patologie professionali con una relazione d’aiuto?
Crediamo che per essere veramente di supporto ad una persona debole sia fondamentale stare bene innanzitutto noi stessi, emotivamente, intimamente e fisicamente (al netto dei periodici e stagionali acciacchi o delle piccole – grandi arrabbiature che normalmente ci vedono pensierosi o adirati).

Se si intraprendesse un lavoro fisicamente faticoso con una prestanza insufficiente si rischierebbe di vedere svanire in poco tempo il desiderio di realizzare un’attività che piace ma oggettivamente impossibile da portare avanti; se si decidesse di perpetuare il rischio sarebbe quello di vedere esplicitarsi il nostro malessere nelle relazioni con l’utenza o con un certo appiattimento delle proposte.

Se poi il maneggio dove lavoriamo ci mettesse in condizione di ulteriore benessere perchè attento alla salute dei collaboratori, saremo ulteriormente incentivati a fare il nostro lavoro al meglio e con una passione rinnovata!