Quando si pensa ad una interazione con il Nobile Animale l’immaginario ci porta sempre all’attività in sella; allo stesso modo, nelle aspettative comuni, montare a cavallo significa raggiungere l’autonomia per gestione al meglio il nostro compagno nelle diverse situazioni.

Ma cosa si intende per autonomia nelle attività equestri rivolte a disabili?

La domanda non è poi  così scontata e, sebbene possa prevedere considerazioni al limite del filosofico, dobbiamo ricondurre il quesito al suo minimo comun denominatore: la Persona e le sue competenze all’interno di realistici obiettivi che desideriamo raggiungere per un buon lavoro ludico – educativo.

Autonomia significa etimologicamente “essere in grado di darsi delle regole” (“autòs” + “nòmos”) alla base delle quali nasce l’autodeterminazione del soggetto nel comportamento e nell’effettuare scelte. L’autonomia è relativa ad una persona che si sa auto-governare, auto-gestire, che è in grado di decidere senza l’influenza di altri.

Qualsiasi cammino educativo deve tendere al raggiungimento di questo importante obiettivo. Spesso però, di fronte ad alcune caratteristiche deficitarie della persona debole (ci riferiamo ad alcune forme di disabilità grave o disagio)  non è possibile raggiungere la soglia limite per vedere un intervento minimamente realizzato; questo non esclude a priori il diritto ad una dignitosa autonomia – e di riflesso efficacia personale- in linea con le effettive competenze e reali aspettative.

Quando si promuove un intervento in rieducazione equestre o equitazione integrata™ sarebbe stupida la ricerca di una autonomia “generica”: l’intervento educativo deve essere volto alla stimolazione della persona e delle sue competenze residue ed inespresse per il raggiungimento del massimo livello di autonomia che questa può aspirare in relazione delle soggettive potenzialità.

Autonomia non come entità assoluta ma come personale espressione delle singole peculiarità.

Molti familiari dei nostri utenti, probabilmente a causa di una immagine distorta che ripongono nel loro caro o perché credono che il cavallo sia automatico, spingono per vedere esercizi “super”, non in linea con le reali abilità del cavaliere, come montare senza l’aiuto dell’assistente o cimentarsi in andature più sostenute come il trotto…

Alcune volte è lo stesso Tecnico che, per inesperienza o per “non aver più nulla da insegnare”, precorrendo pericolosamente i tempi, e spesso peccando di supervalutazione rispetto alle reali abilità del cavaliere disabile, richiede esercizi eccessivi, esponendo l’allievo ad inutili rischi.

Ne cavallo con mal piede, ne cosa con mal fondamento lungo tempo non può durare”.
Questo sosteneva Francesco Liberati Romano nel 1550, segno che già allora avevano capito questo semplice e chiaro principio…

Troppe persone credono che sia facile montare e gestire un cavallo: purtroppo (o per fortuna) non è così.
Il raggiungimento del più alto livello di autonomia in sella dei soggetti disabili è il risultato di un lavoro lungo e ragionato, che abbia alla base una esposizione al rischio consapevole.

Attraverso una razionale progressione didattica diventa possibile avere un continuo feedback da parte dell’utente che dirà nei fatti se ha raggiunto quelle competenze richieste o meno, se è in grado di affrontare nuove e superiori attività o se è il caso di fermarsi ed accontentarsi di quanto ottenuto.

E’ ovvio che si devono fare “prove”. Queste possono simulare le situazioni più impegnative pur mantenendo un certo livello di sicurezza.

Se pensiamo ad esempio ad una prova generale di gestione autonoma del cavallo si inizierà certamente con l’assistente o lo stesso tecnico che allenta il controllo dell’animale con la sua longhina per verificare l’abilità dell’allievo nel gestire la situazione senza alcuna interferenza esterna.
Prima di staccare il moschettone della corda per la tenuta a mano del cavallo si proveranno così dei passaggi intermedi che simulino la gestione autonoma ma garantiscano il controllo della situazione di fronte a possibili problemi.

Fare richieste che verifichino una certa prontezza di riflessi dell’allievo puntano a verificare se lo stesso è pronto ad affrontare l’imprevisto; in questa area di verifica si dovrebbero aggiungere ulteriori elementi come l’abilità tecnica, la capacità di risoluzione di una criticità in modo congruo alla situazione ed una certa freddezza nell’affrontare le problematiche che il cavallo può esprimere…

Lasciare libero in sella un cavaliere debole impreparato per dimostrare una presunta autonomia contribuisce a fornire allo stesso ed ai suoi familiari quell’idea di “super” che non serve a nessuno. Crediamo che la presa di consapevolezza dei propri limiti sia alla base della dignità che ognuno di noi deve aspirare; da questo presupposto è possibile proporre esercizi in sella che possano spingere al più alto livello di autonomia possibile ma in piena sicurezza!

Se ci saranno i presupposti insiti nella persona, nel setting di intervento e nella giusta progressione tecnico – educativa che non abbia il tempo come rigido giudice al quale assoggettarsi, si potranno ottenere risultati importanti e duraturi che confermino l’immagine positiva ed efficace della persona e contribuiscano ad integrare dignità e consapevolezza delle soggettive risorse sebbene espresse con una diversa abilità.