Facciamo seguito ad una recente istanza da noi inoltrata al Ministero per richiedere un chiarimento sulle esclusioni delle attività sportive dal testo “Linee Guida Interventi Assistiti con gli Animali“.

Detta richiesta è stata presentata poichè il testo -per come è grammaticalmente e sintatticamente attualmente scritto- escluderebbe dagli interventi assistiti le sole attività agonistiche.

Infatti, all’art.2 comma 2 del Testo “Linee Guida Interventi assistiti con gli animali” è scritto: “Sono escluse dal campo di applicazione del presente accordo le attività sportivo-agonistiche con animali”.

Questa svista è alla base di una grave incomprensione di fondo che si è introdotta furtivamente tra le buone intenzioni del Ministero nel voler far chiarezza e definire gli ambiti delle attività assistite ma senza voler -parole della referente dell’ufficio deputato a coordinare l’area veterinaria del Ministero- interferire nel campo sportivo nel suo insieme.

La dicitura “sportivo-agonistiche” porterebbe a pensare seguendo la formulazione sintattica della frase, che le sole attività competitive vengano escluse dalle Linee Guida, annoverando negli interventi assistiti anche le attività sportive NON agonistiche.

Per tranquillizzare il lettore, allo stato dei fatti questa interpretazione si ridurrebbe ad un mero errore semantico in via di chiarimento a seguito della nostra istanza, pur con tempi e modalità tipicamente italiane…

Se, per qualsiasi remoto motivo non venisse specificato dagli organi depuati detto passaggio testuale si aprirebbero ampi margini di conflittualità non solo con il mondo sportivo nel suo insieme, ma soprattutto in relazione ai pronunciamenti in materia di diritti umani, di concorrenza, libertà di scelta da parte dell’utente finale e di reali competenze e risorse che il solo mondo dello sport può fornire nella specifica area dei cavalli agli Interventi Assistiti con animali.

Si pensi a know-how tecnici, messa a disposizione di impianti, animali adeguati, strutture, supporto assicurativo e molto altro…

Premesso che:

• Pur riconoscendo l’alto valore e le intenzionalità del percorso fatto finora per definire e regolamentare una volta per tutti gli IAA, ivi inclusi i presupposti e gli obiettivi, sebbene con molti punti critici che certamente verranno nel tempo migliorati, si evidenzia che il testo delle Linee Guida appare conflittuale nell’area “cavalli” che, notoriamente, ha una storia ben consolidata nel settore dello sport, con regole, presupposti e finalità tecniche parzialmente assimilabili agli IAA, ma sostanzialmente indipendenti ed autonomi.

• Lo sport è ampiamente riconosciuto come un diritto umano della persona con disabilità e come uno dei possibili obiettivi di vita che questa può raggiungere in un momento qualsiasi della propria esistenza. Sport come diritto di tutti, a prescindere dalle proprie caratteristiche personali e condizioni di salute!

• L’attività sportiva è estremamente funzionale alla salute, intesa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come «uno stato di completo benessere fisico, psichico, sociale e non solo l’assenza di malattie» (OMS, 1948), e riconosciuta dalla Costituzione Italiana come «un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse della società» (Costituzione Italiana, 1948).

Si desiderano condividere alcune riflessioni poste all’attenzione degli Organi deputati al chiarimento per metterli in condizione di risolvere questo possibile errore di interpretazione sul quale -per inciso- già molti soggetti stanno ponendo le loro attenzioni più o meno interessate.

Un aspetto che rischia di confliggere con altri pronunciamenti sovranazionali

Se pensassimo allo sport rivolto a persone con disabilità solo come una delle possibili vesti che assume un’attività con valenza riabilitativa sarebbe riduttivo: la possibilità di praticare attività sportiva (ludica o agonistica) è, per le persone con disabilità, anzitutto un diritto umano fondamentale, riconosciuto, da ultimo, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la legge 3 marzo 2009, n°18.

L’articolo 30 della Convenzione dell’ONU parla infatti di sport includendolo tra un’altra serie di attività che sono altrettanti diritti fondamentali per le persone con disabilità: la cultura, le attività ricreative e il gioco.

Poter quindi praticare attività sportive, a qualsiasi livello, è prima di tutto un diritto umano che trova la propria soddisfazione nelle effettive possibilità che ogni persona con debolezze ha di sperimentare lo una disciplina sportiva all’interno del proprio progetto di vita, al pari di chiunque altro.

Il comma 5 dell’articolo 30 della Convenzione precisa che gli Stati aderenti hanno dei compiti ben precisi per permettere alle persone con disabilità di partecipare alle attività sportive e ricreative, tra i quali

“incoraggiare e promuovere la partecipazione più estesa possibile delle persone con disabilità alle attività sportive ordinarie a tutti i livelli” e “garantire che i minori con disabilità possano partecipare, su base di uguaglianza con gli altri minori, alle attività ludiche, ricreative, agli svaghi ed allo sport, incluse le attività previste dal sistema scolastico”.

Detto comma della Convenzione comporta che le comunità – dal livello nazionale fino al singolo comune – si strutturino in modo tale che le attività sportive ordinarie, così come quelle ricreative, ludiche e culturali, possano essere svolte anche dalla persone con disabilità.

La prospettiva fondata sui diritti umani della Convenzione se, da un lato, toglie allo sport quell’aura medica, riabilitativa e curativa, dall’altro, conferisce allo stesso una dimensione ben più importante: quella dell’ordinario.

Non un evento specifico, magari con finalità riabilitative, ma un evento che, al pari di attività culturali, ludiche e ricreative, possa essere perseguito dalle persone con disabilità in qualunque momento della loro vita.

Non più (o quanto meno non solo), quindi, un’attività che abbia per desinenza il termine “terapia” (sport-terapia, così come arte-terapia, ippo-terapia, musico-terapia, ecc.), ma un’attività «ordinaria», perfettamente in linea con il pensiero e l’azione di EQUITABILE®, di quelle che qualunque cittadino che vive in una comunità mediamente organizzata può svolgere in piena autonomia.

Lo sport non è solo quello agonistico delle Paralimpiadi.

Lo sport è qualcosa che dovrebbe essere avvicinabile da chiunque in qualsiasi comunità, piccola o grande.

Così, parlare di sport nell’ottica dei diritti umani significa parlare di «inclusione» delle persone con disabilità nella vita comunitaria a tutti i livelli.

Il movimento mondiale delle persone con disabilità ha fatto proprio il concetto di inclusione quale elemento fondativo di una società giusta e rispettosa dei diritti umani: l’inclusione diventa così un costrutto che ben rappresenta quel processo che le persone con disabilità – precedentemente escluse dalla comunità – compierebbero per ricostruire identità sociali, riconosciute attraverso il superamento di visioni stigmatizzanti e pregiudizievoli.

Il movimento mondiale delle persone con disabilità ha fornito la seguente definizione di inclusione:

«[…] L’inclusione è un diritto basato sulla piena partecipazione delle persone con disabilità in tutti gli ambiti della vita, su base di eguaglianza in rapporto agli altri, senza discriminazioni, rispettando la dignità e valorizzando la diversità umana, attraverso interventi appropriati, superamento di ostacoli e pregiudizi, sostegni basati sul mainstreaming, in maniera da vivere nelle comunità locali […]».

Pertanto, è necessario che ogni comunità – come afferma la stessa Convenzione – si attrezzi per avere luoghi dove si fanno attività sportive (palestre, palazzetti dello sporti, stadi, ecc.) inclusivi, su base di uguaglianza con gli altri.

Alcune domande:

Cosa si intende per agonismo? E’ riferito solo a coloro che hanno superato un esame e, conseguenzialmente, hanno ottenuto una “patente” o abilitazione tecnica che attesta una competenza?

E’ riferito a chi ha partecipato ad una gara o che partecipa regolarmente all’interno di un circuito competitivo riconosciuto e strutturato? Coloro i quali sono ancora in fase di preparazione tecnica -ma non hanno ancora acquisito il giusto grado di performance- rientrano nelle Linee Guida?

Secondo il D.M DEL 28/02/1983 i disabili psichici sarebbero sempre considerati non agonisti -sebbene divisi in categorie fittizie: rientrerebbero quindi tutti nelle direttive delle Linee Guida qualora praticanti equitazione?

E, in caso affermativo, il praticante disabile intellettivo che svolge sport che non prevedono l’utilizzo di un animale (es: nuoto) presso una Associazione, alla presenza di un tecnico CONI, fruirebbe dello stesso trattamento (tecnico, di indirizzo, di qualità esperenziale) cambiando sport -quindi quello equestre- qualora promosso da parte di un tecnico NON CONI ma in regola con la formazione secondo le Linee Guida, magari nelle “sole” AAA?

Cambiando prospettiva: un tecnico CONI che opera nello sport per soggetti deboli con l’ausilio di animali (equitazione) non rischia di subire una forma di discriminazione indiretta in confronto ad un qualsiasi suo collega-parigrado, sempre tecnico CONI, ma specializzato e proponente una disciplina sportiva, riferita alle stesse categorie di soggetti deboli, ma senza l’ausilio di animali (es. nuoto)?

Qualora tutto il comparto dello sport equestre per disabili non agonistico venisse inglobato dalle disposizioni recepite in materia di IAA non si rischierebbe una sorta di conflittualità di interessi di pertinenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato?

Il pensiero va inevitabilmente al settore della formazione che, se fosse confermata la sola esclusione delle attività sportivo-agonistiche senza unirvi quelle non agonistiche in area CONI sembrerebbe di solo appannaggio degli Enti accreditati presso le Regioni.

Questo metterebbe di fatto da parte una prerogativa importante e ampiamente riconosciuta agli Enti di Promozione Sportiva di formare tecnici, istruttori ed altre figure similari di operatori sportivi che deriva dalle previsioni dell’art.2 del Regolamento “per il riconoscimento ed i rapporti C.O.N.I. – Enti di promozione Sportiva”, approvato dal Consiglio nazionale del C.O.N.I. il 01/08/2001.

Non si rischia di veder profilarsi un modus operandi che confligga con la vigilanza in materia di abusi di posizione dominante ed eventuali intese e/o cartelli che possono risultare lesivi o restrittivi per la concorrenza?

Se infatti la proposta “cavalli” rivolta a soggetti deboli fosse esclusivamente organizzata sotto le disposizioni “Linee Guida”, gli stessi disabili potenzialmente fruitori dei servizi sarebbero “obbligati” a svolgere attività (monopolistica) presso centri in regola con le Linee Guida, con tutto ciò che ne conseguirebbe in materia di costi (sicuramente più onerosi dell’attività sportiva, quindi dissuadendo molti a fruire del servizio stesso) e pressoché nessuna concorrenza di tipo economico e di indirizzo tra i “diversi-uguali” fornitori del servizio.

Inglobare lo sport non agonistico all’interno delle Linee Guida non rischia di confliggere con i sopracitati temi in materia di lesività e restrizione della libera concorrenza tra ambiti di intervento?

E che dire della limitazione della libera scelta nella concorrenza e pluralità di proposte per l’utente finale in materia di servizi e tipologia di intervento?

La preparazione dei tecnici secondo le Linee Guida inadeguate ai fini sportivi.

La preparazione del conduttore del cavallo secondo quanto previsto dalle Linee Guida a nostro avviso non è adeguata e coerente con le responsabilità affidate, ancor più se queste fossero declinate all’area dello sport non agonistico.

Senza voler entrare nel merito di un indirizzo formativo che appare poco conforme con le vere competenze necessarie alla gestione e conoscenza del Nobile Animale, si desidera porre l’accento sul fatto che in nessun punto del documento “linee guida” si tocchino tematiche formative riferite alla tecnica equestre ed alla formazione dell’utente finale in tale ambito.

Questo a conferma del fatto che nelle implicite ipotesi del Legislatore e conseguentemente di coloro i quali hanno dato il loro contributo nelle tavole di lavoro sulla definizione e strutturazione delle Linee Guida, il settore dello sport nel suo complesso viene considerato estraneo alle linee di indirizzo ed operative del testo prodotto.

Ma veniamo alle attività in sella:

Se pensassimo alla figura del conduttore che, con una “formazione” limitata a 56 ore di indottrinamenti teorico-pratici basilari, requisiti di accesso al corso pressoché inesistenti (requisito d’accesso: aver partecipato al corso propedeutico, non competenza equestre…) ed esperienza (alquanto limitata) avrà la responsabilità della conduzione del cavallo anche con persona debole sul dorso dell’animale (e magari potrà insegnare qualcosa in area AAA come responsabile di attività, rischiando di sconfinare nel campo di una tecnica sportiva autoreferenziale ed “apocrifa”), il livello di rischiosità diviene esponenzialmente più elevato, direi inaccettabile.

Si tratta certamente di un indirizzo che realisticamente potrebbe divenire un boomerang rispetto a quell’implicito assunto più o meno dichiarato nelle Linee Guida che formazione adeguata conduca a maggior sicurezza e tutela dell’utente finale, già caratterizzato da deficit o debolezze, quindi da proteggere maggiormente.

Ricordando che (Art. 1 – Principi Generali) tra gli obiettivi dell’accordo “linee Guida IAA” vi è anche quello di “tutelare la salute dell’utente e il benessere dell’animale impiegato”, quanto sopra accennato è evidentemente a conferma di una incoerenza e sproporzione tale da inserire sul mercato del lavoro operatori inadeguati al ruolo che andranno a ricoprire e, soprattutto, potenzialmente pericolosi per la salute dell’utente e benessere del cavallo (che se non è gestito da persona realmente esperta e del mestiere potrebbe nel tempo manifestare comportamenti non conformi fino a divenire pericoloso).

Ci sarebbe da aprire un’ulteriore parentesi sulla figura dei referenti di intervento (soprattutto coloro che operano nella sfera educativa)…

Come potranno “accompagnare e tutelare il paziente/utente in tutte le fasi dell’intervento” quei referenti di intervento per i quali non è neppure richiesto di aver fatto una seppur minima esperienza nella tecnica equestre basilare (che è fondamento delle attività in sella, quindi di buona parte dell’area metodologica per il raggiungimento di obiettivi), oltre ad aver provato sulla propria pelle il vissuto non solo emozionale, di gestione-conduzione tecnica e/o relazionale con l’animale?

In aggiunta: come e cosa potranno “insegnare” basi di tecnica associata all’obiettivo generale di tipo educativo-assistenziale o terapeutico, tecnici che non hanno questo tipo di esperienze?

Se da questi presupposti, detti tecnici mettessero in mano al loro utente le redini del cavallo per la sua conduzione… beh, sarebbero diffidabili dallo svolgere pratiche che non sono loro proprie ma di pertinenza di operatori di altro settore, ovvero quello sportivo anche non agonistico.

Ricordiamo che nelle Linee Guida, nell’area cavalli, non si toccano i temi formativi della tecnica equestre, tantomeno dell’indirizzo sportivo (non agonistico) con il nobile animale, escludendoli, rendendoli opzionali o, alla peggio, sottacendoli dalla proposta formativa di tecnici che, una volta formati, rischierebbero di improvvisarsi come “para-istruttori” equestri per disabili (non certamente certificabili in area CONI ma pur sempre potenzialmente operanti nelle associazioni sportive fuori CONI) annientando un settore, già di per sé fragile e difficile, oltre che poco diffuso, per mancanza di competenze ed esperienza nella specifica area.

Fino a quando si tratta di attività a terra con il cavallo potremmo essere in accordo –pur con qualche riserva- con le Linee Guida calate a misura “cavallo”, ma se si parla di attività in sella (soprattutto per le AAA e per alcuni aspetti per le EAA) non si può prescindere dalla tecnica di base, quindi dallo sport (soprattutto non agonistico perché è questo che fornisce le basi) per declinare alla pratica metodologica gli obiettivi individualizzati sulla persona debole!

Il rischio di costruire una cattedrale nel deserto…

Una formazione dunque inadeguata (per requisiti d’accesso e competenze curriculari dei diversi aspiranti quadri tecnici e finalità di intento che con collima con gli aspetti tecnici, orientativi e programmatici di un approccio sportivo, anche di tipo ludico-educativo oltre che abilitante) dai costi impegnativi, non solo economici e dei tempi di formazione (che al termine del percorso non sarà affine a quella in area sportiva), ma anche riferiti alla sfera organizzativa, burocratica e strutturale di una equipe.

Una volta completate le formazioni e creata l’equipe di lavoro (il tutto unito agli aspetti burocratico-amministrativi annessi) gli sforzi di tutti gli interessati e dell’ente promotore delle attività assistite andranno a giustificare una evidente ed inaccettabile sproporzione tra costi di erogazione del servizio e reale disponibilità economica (ed aspirazione) del praticante finale?

L’ulteriore disincentivo che vede le Attività Assistite con Animali escluse dai LEA pone certamente un’ulteriore ostacolo al settore ed alla reale partecipazione dell’utenza finale che, nello specifico caso dei cavalli, è storicamente sempre stato più oneroso di altre discipline sportive ed attività in generale (questo sin dall’antica Grecia quando solo i nobili o i ricchi diventavano equites, gli altri divenivano normali soldati di fanteria).

Tanti aspetti che rischiano di confliggere con i sopracitati punti riferiti alla facilitazione della partecipazione alle attività sportive dichiarate nel sopracitato comma 5 dell’articolo 30 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità…..

“incoraggiare e promuovere la partecipazione più estesa possibile delle persone con disabilità alle attività sportive ordinarie a tutti i livelli”

quello non agonistico incluso, aggiungeremmo noi.

Che lo sport equestre per soggetti deboli -anche non agonistico ma comunque strutturato e regolare, promosso da Tecnici Sportivi riconosciuti dalle FSN o EPS e sotto egida del CONI – possa avere punti di connessione con le AAA o le EAA non significa a nostro avviso che debba sottostare a regole ed “oneri” definiti –giustamente- per ambiti molto differenti dal contenitore dello sport strutturato ed organizzato delle Associazioni Sportive Dilettantistiche.

Altresì, pensare di integrare competenze già acquisite (indipendentemente dalla facoltà temporanea di parificazione) con le tematiche delle Linee Guida, aspetti che oggettivamente esulano dallo sport e che sono già parte del know-how dei tecnici equestri, potrebbe rappresentare un controsenso oltre ad un onere infondato ai fini del lavoro sul campo del Tecnico sportivo e della struttura organizzativa all’interno della quale si promuove l’attività non agonistica.

Un’ultima sottolineatura sul valore educativo dello sport

Senza voler minimamente contrapporre l’Educazione “formale” come intesa dal Testo Linee Guida nella sua declinazione EAA con educatori e pedagogisti abilitati a sviluppare competenze trasversali della loro utenza, si vuol ribadire il valore educativo dello sport – già sostenuto dall’Anno Europeo 2004, appunto, dell’educazione attraverso lo sport- per sottolineare non solo origini di indirizzo comuni (seppur con modalità di realizzazione differenti) ma anche per sostenere l’importanza della concertazione tra ambiti di intervento apparentemente indipendenti.

Il “Libro Bianco sullo Sport”, che rappresenta la prima iniziativa globale nel campo dello sport della Commissione Europea (luglio 2007), parte dalla dimensione sociale ed educativa dello sport: quest’ultimo è dichiarato come una parte importante dell’attività umana, interessa la maggior parte dei cittadini europei ed ha un potenziale enorme di riunire e raggiungere tutti, indipendentemente dall’origine sociale o dall’età.

La Commissione promuove inoltre il principio in base al quale lo sport rappresenta uno strumento necessario a favorire l’inclusione sociale, l’integrazione e le pari opportunità.

A conferma di quanto sopra espresso si vuol riprendere un estrapolato della comunicazione del 22/12/2005 prodotto dalla Commissione al Parlamento Europeo in materia di educazione attraverso lo sport in cui illustrava i principali risultati ottenuti con l’Anno Europeo dello Sport:

“la ricerca ha dimostrato che la pratica di una regolare attività fisica migliora la salute fisica e mentale e oggigiorno si riconosce il contributo positivo fornito dallo sport al processo di apprendimento.

L’educazione formale potrebbe sfruttare maggiormente i valori trasmessi dallo sport per sviluppare le conoscenze, le motivazioni, le competenze, la disposizione allo sforzo personale e le capacità sociali come il lavoro di squadra, la solidarietà, la tolleranza, il fair play e l’accettazione della sconfitta.

Lo sport è perciò essenziale nell’educazione formale ai fini dell’acquisizione e dello sviluppo di competenze fondamentali necessarie ad una realizzazione personale, all’inserimento sociale e alle prospettive occupazionali di ciascun individuo […]”.

Alla luce delle tematiche evidenziate, il Ministero in concertazione con l’Istituto Profilattico delle Tre Venezie (dipartimento operativo per il coordinamento degli interventi assistiti con gli animali) si sono impegnati a fornire chiarimenti ufficiali rispetto a questo tema.

L’indirizzo attuale sarebbe quello di evidenziare che le attività sportive nel loro complesso sarebbero fondamentalmente escluse dalle indicazioni del Testo “Linee Guida”, con la possibilità -per chi desidera ampliare le proprie offerte equestri- di aderirvi all’interno dell’area più affine all’indirizzo del centro e, ovviamente, del tipo di personale impiegato con opportuna formazione specifica.